La tradizione è morta: non è mai stata così viva
di Irene Biolchini | Histoires Naturelles
Il lavoro dei CaCO3 è presentato in questa mostra al fianco delle opere ceramiche di Andrea Salvatori. Riflettere sul lavoro di questi artisti, specie in modo incrociato, significa aprire ad
un dialogo tra la ceramica ed il mosaico, due antichissime tradizioni che caratterizzano in maniera geo-antropologica la periferia Romagnola. Una periferia che, tanto nel caso di Faenza quanto in quello di Ravenna, ha determinato la propria storia economica e culturale proprio in connessione all’alto artigianato ceramico e musivo. È all’interno di questa storia che Ravenna e Faenza hanno saputo costruire scuole e preservare percorsi museali, definendo un ruolo egemonico, di assoluta centralità all’interno del campo artigianale.
Crescere all’interno di questa tradizione significa conoscerne i divieti, le regole, le prescrizioni. L’artigianato si costruisce, infatti, sulla base di una conoscenza (continuamente empirica) dei materiali: il prodotto artigianale nasce sulla base di un quotidiano incontro con la terra (nel caso della ceramica), delle pietre e del vetro (in quello del mosaico). Rispettando le regole (sia quelle tramandate che quelle apprese), gli artigiani della provincia romagnola sono riusciti a mantenere e difendere la loro unicità, nonché la loro egemonia. Il lavoro dei CaCO3 (così come quello di Salvatori), si nutre delle tecniche di questa tradizione, ma ne isola degli aspetti, ne ingigantisce delle componenti, ne distende delle caratteristiche fino ad arrivare al risultato finale: all’opera.
Le opere dei CaCO3 custodiscono il ricordo della tecnica artigianale, seppur distruggendola di fatto. Davanti ad un lavoro del trio di base ravennate, infatti, si è catturati dall’andamento dei colori, dal movimento delle linee. La tecnica del mosaico non è più lo strumento attraverso il quale si rende un’immagine, ma è essa stessa il cuore della creazione. Il soggetto dell’opera è la tecnica: le linee, che impongono associazioni emotive allo spettatore, si creano nella composizione, nel momento in cui si scelgono i pezzi; il colore, nel suo svolgersi perlopiù monocromo con le sole varianti di luci ed ombre, è determinato dall’inclinazione dei pezzi sulla malta. Nell’operare dei CaCO3 la tradizione del micro mosaico, capace come nessuna altra di rendere la nitidezza della linea e del disegno, viene distrutta nelle sue capacità mimetiche. La pietra ed il vetro non azzerano più la loro componente materica al fine di restituire un’immagine complessiva: all’opposto, il loro essere vetro e pietra è al centro della costruzione. Le asperità del taglio, le varianti del tassello (che visto frontalmente o di profilo assume una diversa luminosità e cromia) diventano i soli protagonisti del lavoro.
È come se per essere artisti del mosaico i CaCO3 fossero obbligati a dare forma plastica a ciò che Freud definisce come formazione di compromesso: due forze opposte che convivono, contemporaneamente, all’interno della nostra psiche. Allo stesso modo nell’operare dei CaCO3 la tradizione del micro mosaico è viva (nella sua applicazione quotidiana, nel virtuosismo tecnico che i tre artisti mostrano), ma è morta (nel senso che le sue caratteristiche sono distrutte dall’operare del trio). Vi è in questo rifiuto, in questa distruzione un elemento che più di ogni altro viene sacrificato nel processo creativo: la costruzione consapevole del lavoro.
Nella tradizione del mosaico, infatti, l’immagine si costruisce grazie all’attenta giustapposizione delle tessere, che rispondono in termini di dimensione e cromia all’esigenza complessiva dell’immagine. Questa pluralità cromatica è data anche da una pluralità materica: diverse pietre e paste vitree possono essere applicate al fine di ottenere le variazioni cromatiche necessarie. Nel lavoro dei CaCO3, invece, l’opera è solitamente utilizzata usando lo stesso materiale (una sola tipologia di marmo o di vetro, etc). L’effetto cromatico è ottenuto disponendo i tasselli in diverse angolazioni e quindi variando l’angolo di rifrazione della luce sul materiale. La caratteristica principale del micro mosaico, la sua varietà, viene distrutta e negata dall’azione degli artisti. Allo stesso modo anche il tradizionale controllo delle parti, al fine di ottenere un’unitarietà coerente, viene sovvertito nella pratica del gruppo in cui il controllo è solo apparente: nella costruzione dell’opera, infatti, il caso gioca un ruolo fondamentale. Dopo un primo bozzetto, che viene collegialmente discusso, gli artisti lavorano all’opera, fissando le pietre o i vetri sulla malta. Non vi è una discussione su come procedere, ma ognuno di essi, nella ripetizione incessante del gesto, si abbandona alla propria gestualità. A fine giornata si discutono gli esiti e come proseguire il lavoro. Il giorno successivo si riparte, affidandosi al lavoro, che equivale a dire al caso.
Eccoci dunque giunti al cuore della soluzione di compromesso: i CaCO3 utilizzano una tecnica nota per la sua precisione e per il controllo, ma al tempo stesso rinunciano a qualunque tipo di costruzione vigile, affidandosi alla ripetizione, alla reiterazione, al caso. Come Miró, che ripeteva la propria stella milioni di volte fino a che la propria mano non disegnava la stella senza che lui potesse esercitare alcun comando vigile sulla costruzione dell’immagine, allo stesso modo i CaCO3 affidano alla reiterazione del gesto il lavoro, sospendono il controllo ed affidando alla gestualità il dominio sulla costruzione. Il segno non è quello informale, che sgorga dall’immediatezza del gesto, ma è generato dal lento perdersi ed affidarsi alla ripetizione. Il segno diviene dunque un fluire che azzera ogni costruzione, distruggendo la più basilare delle caratteristiche del mosaico.
In maniera significativa, quando lo spettatore si trova davanti all’opera subisce la stessa fascinazione e segue, attratto dalle sfumature e dai giochi d’ombra, lo svolgimento del lavoro, incapace di opporre resistenza. Il perdersi degli artisti, acquisito mediante la ripetizione, opera anche sullo spettatore che, incapace di fermare lo sguardo su un singolo elemento, si abbandona alla continuità materica del lavoro. Il contrasto tra forze opposte, l’amore e la distruzione della tradizione, che alimenta il processo creativo dei CaCO3 trova un correlativo oggettivo nel dittico presentato per la prima volta in mostra: il magenta ed il verde, colori complementari, che convivono in questo lavoro. A bilanciare questa esplosione cromatica intervengono altri lavori rigorosamente monocromi e mono-materici, in cui le variazioni tonali sono garantite solo dalle ombre fisiche della disposizione.
Nell’opposizione tra monocromo e la violenza della tinta spray si isolano le caratteristiche formali ricorrenti nel lavoro dei CaCO3: ombreggiatura e linea. Il fatto che esse siano raggiunte tramite la distruzione della dimensione figurativa del mosaico, cioè nel rifiuto del disegno come rappresentazione esteriore, è il risultato ultimo, e più stupefacente, della loro ricerca artistica, o della loro formazione di compromesso.