La natura degli artifici
di Luca Maggio | Mosaique Magazine
Anche quanto c’è di più innaturale è natura.
J.W.Goethe
La forma a “X” della figura retorica detta chiasmo può essere utile per capire il processo creativo di due artisti come Pascale Beauchamps e CaCO3, diversi benché accomunati da una scoperta realizzata in tempi e modalità differenti: rendere possibile una contraddizione, ovvero il moto attraverso la pietra musiva, grazie alla disposizione data alle rispettive interpretazioni della materia.
Tutto, infine, si completa e chiarisce attraverso la luce, desiderio e sostanza delle loro opere, capace di far “intuire come ogni cosa si muova nel grande spazio infinito”.
Pascale Beauchamps parte dalla natura del luogo in cui vive, la Bretagna, per cercare pietre di fiume che l’artista raccoglie e cataloga secondo le dimensioni e tre cromie prevalenti: una scura, grigionera, una più chiara tendente al beige e una bianca. Il suo compito non è intervenire sugli elementi singoli, ciò che il tempo naturale ha compiuto sino alla perfezione, ma è ripensare quei ciottoli lisci su superfici di cemento ora circolari, ora oblunghe come totem o moderni menhir (guarda caso parola d’etimo bretone che significa “pietra lunga”), testimonianze preistoriche di cui è ricca la regione dove lavora.
Dunque questa ricerca ha molto a che vedere col rito e col silenzio: la raccolta all’aria aperta e la selezione successiva delle “ossa di madre terra” che Deucalione e Pirra si gettarono dietro le spalle per rigenerare l’umanità, è indicativa dell’influenza potente del territorio sulla mente dell’artista e, viceversa, di come la sua creatività abbia “addomesticato simbolicamente il tempo e lo spazio”, anzi, la materia naturale connettendosi alle radici formali, ovvero astratte, dell’uomo primordiale in componimenti non a caso spiraliformi o dai ritmi centripeti o centrifughi (archetipi di ogni labirinto), come nei gorghi dei suoi maelström rocciosi e vitrei, oppure nelle sequenze che ricordano spine dorsali e gusci di animali preistorici, sezioni stratificate di alberi fossili e rocce sedimentarie, memorie naturali in grado di suggestionare e attivare la capacità imitativa dell’uomo per riproporle metabolizzate e riordinate, peraltro così producendo quell’“insolito nella forma” di cui parla Leroi- Gourhan.
Sono opere che rimandano alla sfera del sacro come erano le cose della natura nella prima percezione umana e ieratica è spesso la loro collocazione (anche negli accumuli in interno dei parallelepipedi avvicinati e attraversati da un continuum di linee oblique di sassi bianchi, a rafforzare unità e insieme dei piccoli e grandi monoliti), o il loro isolamento apparente in installazioni esterne perfettamente in simbiosi con l’ambiente naturale circostante, d’acqua terra e flora, talché pare siano lì da sempre, parte integrante del territorio, sebbene, in definitiva, cose pensate e realizzate dall’artificio umano.
“In effetti: a un certo punto l’oggetto creato dall’uomo diventa analogo a quello che potremo definire «oggetto creato dalla natura»; ossia elemento naturale sorto spontaneamente ma che assume all’occhio dello spettatore un carattere «oggettuale»”.
In realtà “le cose naturali sono soltanto immediate e una sola volta, ma l’uomo come spirito si raddoppia, in quanto dapprima è come cosa naturale, ma poi del pari è tanto per sé”: dunque l’uomo è sì parte della natura, ma anche capace di compiere la propria natura, a se stante e unica nel cosmo naturale.
Si potrebbero fare analogie col mondo animale, pensando alle architetture dei nidi d’uccello, alle geometrie degli alveari o a quelle delle tele di ragno, ma sono tutte costruzioni funzionali a differenza delle astrazioni più o meno concretizzabili della mente umana.
E questa è la premessa del lavoro di CaCO3: l’inclinazione tridimensionale, memoria bizantina, data al vermiculatum, l’unità base delle sue opere, è dovuta ad esperienze e intuizioni di laboratorio, come in atelier vengono preparate le singole tessere necessarie a dare forma all’idea, anzi al progetto precedentemente definito.
Uno dei percorsi creativi di questo artista consiste nel realizzare strutture organiche attraverso l’inorganico della pietra, i cosiddetti Organismi, esseri inventati ma del tutto compatibili con la realtà: infatti CaCO3 si diverte a documentare la loro storia mostrandoli già presenti in alcuni asarotos oikos della classicità, per poi ritrovarli in disegni rinascimentali (il rimando tanto alla curiosità meccanica di Leonardo, quanto alla classificazione del Teatro della Natura di Ulisse Aldrovandi è obbligato, e la parola teatro sembra più che mai opportuna in questa sede, tanto che senza dubbio avrebbero trovato collocazione nella Wunderkammer praghese di Rodolfo II), oltre che in immagini, sempre su carta, degne di un naturalista del XVIII secolo, sino ai frottages e alle rare fotografie d’età moderna, periodo degli ultimi avvistamenti di questi esseri poi ritenuti estinti.
Forse però, non tutto è frutto di immaginazione: poiché la realtà è madre di ogni fantasia, recentemente sono state ritrovate e pubblicate le lettere di Groes Bergsoluji, accademico e collaboratore di Linneo. In una missiva egli chiede aiuto all’amico (sfortunatamente non si ha notizia dell’eventuale risposta), avendo trovato alcuni esseri che non sa nominare né classificare data l’ambiguità della loro natura, incredibilmente simile a quella degli Organismi di CaCO3. Così li descrive: “…di forme differenti, sono creature acquatiche, di zona salmastra e paludosa, di grandezza variabile da un pugno umano fino a due mani aperte, paiono silenti e immobili, come la roccia di cui sembrano composti gli aculei della loro superficie, ma possiedono facoltà di moto. Si direbbero minerali e animali insieme, non so se aggressivi…”.
Questi stessi Organismi in calcare sono oggi posti da CaCO3 sotto teche museali per completare il gioco di rappresentazione: alcuni perfettamente conservati, altri solo in parte (quasi un “non finito”), come si conviene a ritrovamenti fossili veri e propri, che l’artista scienziato ha ricomposto e da cui probabilmente ha prelevato campioni di tessuto da analizzare. Ad essi si affiancano anche altre opere formalmente connesse col tema dello studio naturale, come le Posidonie, la cui varietà avrebbe fatto la gioia di D’Arcy Thompson13, o i piccoli mosaici dal nome assai evocativo, Efflorescenze14.
Dunque, il lavoro di CaCO3 è un prodotto intellettuale e punto di partenza di questo autore è, come si è visto, l’artificio, all’opposto della Beauchamps, di cui l’artefatto è l’approdo finale di un cammino avente origine nella natura, a sua volta punto d’arrivo di CaCO3: un vero e proprio chiasmo.
In questo incrocio reciproco, verrebbe da chiedere cosa è e cosa resta natura e cosa artificio: a quanto pare i confini fra questi due ambiti sono destinati a risolversi proprio nella figura dell’essere umano, l’artefice, essendo egli sintesi attiva di entrambi, capace di realizzare ciò che l’intuizione di Goethe posta ad apertura di questa pagina aveva da subito rivelato.