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Deposito
di Maria Rita Bentini | Open 17

Con lo scarto percettivo del ready made, Deposito spinge lo spettatore in un luogo di magica bellezza. Il magazzino è lo spazio misterioso della storia. Oggetti accumulati via via, sottratti al flusso veloce della realtà:  accantonamenti temporanei o residui di vite intere, frammenti abbandonati, rovine di tempi passati. Con la polvere, indistruttibile e preziosa, che presto riveste le cose.

Occultando, piuttosto che presentando, CaCO3 trasforma la perdita in una conquista. La sostanza granulare dei Soffi e i frantumi del cocciopesto sono il punto d’arrivo di un processo concettualmente definito. L’inizio è la forma, l’approdo è l’hylē,  la materia prima. In essa, per il pensiero greco, la natura vive in potenza. Dopo aver composto con magistrale abilità i calcari sulle superfici secondo la tecnica musiva diretta di ascendenza bizantina, c’è l’aggressione. Spinto il tasto reverse dell’atto creativo con la forza invasiva della sabbiatura meccanica, tutto si dissolve in un attimo, o quasi. In luogo delle tessere, volumi e andamenti preordinati, affiora un paesaggio eroso. Si ripristina allora lo stato dell’origine. Quel pulviscolo primordiale che brilla, sospeso nell’aria, nelle città dove lo splendore scivola, inarrestabile, nel declino.

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