CaCO3 naturali tensioni
di Maria Rita Bentini | Scultura et mosaico. Da Fontana a Pietro d’Angelo
Nel nome che il collettivo artistico ravennate si è dato, mettendo insieme personalità con diversa provenienza e formazione come Âniko Ferreira da Silva, Giuseppe Donnaloia e Pavlos Mavromatidis, è inscritta la rigorosa intenzionalità che contrassegna ogni progetto e le opere fin qui realizzate. Attingendo le coordinate della propria identità artistica all’ambito della biochimica piuttosto che a quello dell’estetica (CaCO3 è la formula chimica del carbonato di calcio, il costituente dei calcari e delle dolomie) il riferimento diretto alla struttura e alla proprietà della materia dichiara i confini di un’indagine visiva metodologicamente scientifica.
Un avvertimento quasi, con un particolare accento sulla composizione atomico-molecolare del materiale che l’ambito del mosaico, “pittura di pietra”, ha prediletto nel corso della sua antichissima storia.
La dimensione concettuale è anche il frutto di una prassi operativa, dal momento che l’esperienza artistica è protesa nella dimensione quotidiana a convogliare le attitudini, le voci, gli sguardi personali, nell’assolo del lavoro comune. Forse un crogiolo, questo essere uno e trino, che elimina le scorie e forgia perfettamente le intenzioni, con risultati di evidente nitore.
Da tutto ciò (e con un occhio attento ai Concetti Spaziali di Fontana, a Manzoni e dintorni di Azimuth, a Dadamaino) nasce lo scarto rispetto alle formule consolidate nel microcosmo ravennate, insieme al continuo allargamento degli orizzonti, con azzardi e avventure spinte dalla curiosità.
La purezza della ricerca analitica di CaCO3 si è subito dedicata al mosaico come una superficie concreta dalle possibilità illimitate, uno spazio fisico di aggetti e andamenti condotti con precisione millimetrica. Ne sono nati i Movimenti, opere rigorosamente astratte e monocrome, pure superfici attraversate da correnti di energia, con tutte le infinite, possibili varianti. Moti, ma col brivido di una percezione simultanea, quando le tessere, disposte come giavellotti nella malta, accendono un qualche evento magico: per luce, preziosità della materia, esattezza dei volumi.
Cercare la dimensione plastica in questo terreno, dove quasi chirurgicamente, sulla pelle del mosaico, si coltivano interessi ottico-percettivi , potrebbe apparire un attraversamento anomalo.
Eppure, secondo lo stesso procedimento analitico messo in campo da CaCO3 nel linguaggio visivo prescelto, il punto di partenza è la plasticità della tessera e quello di approdo il granello di sabbia.
Come non ricorrere al vocabolario della scultura? C’è la stratigrafica consistenza dell’opus tessellatum, la forma tridimensionale della tessera tagliata dalla martellina come un piccolo cubo o un parallelepipedo, ci sono gli interstizi tra una tessera e l’altra, volumi in negativo, spazi d’aria, un vuoto che accoglie l’elemento plastico. In effetti, la tecnica musiva diretta della tradizione ravennate (tanto enfaticamente usata dal gruppo, con tessere che si allungano a dismisura in profondità) viola l’assetto bidimensionale della superficie mediante la posa delle singole tessere, con quell’inclinazione variata che modifica ogni volta l’angolo di rifrazione, per muovere la luce e moltiplicarla.
Le rotte nella direzione tracciata sono diverse, ma attentamente calcolate. Nell’ultima serie di lavori, i Soffi, la sabbia diviene oggetto e soggetto stesso dell’opera musiva. Il processo prevede la composizione paziente del mosaico in calcare e subito dopo la sua dissoluzione con l’uso di una strumentazione meccanica tratta dal cantiere di restauro, una sabbiatrice: le particelle di sabbia spinte con forza invertono la dinamica del processo creativo in un tempo contratto. In un solo istante erodono le forme aggettanti, penetrano negli interstizi, delineano infine un nuovo paesaggio nel quale le tessere tendono all’unità volumetrica minima, il granello, o coincidono con essa.
Ideando invece la performance acustico-visiva 80 mesh, la riflessione progettuale ha sconfinato nel campo della fisica. Mesh è un’unità di misura che indica la distribuzione di dimensione delle particelle di un materiale granulare, mentre 80 (mesh) è la griglia della sabbia garnet, il minerale silicato impiegato nella performance: tre lastre metalliche tenute in orizzontale da ciascuno degli artisti, sono state cosparse di sabbia e collegate a tre voci musicali, composte e suonate da una musicista ondista; le lastre vibrano per effetto della musica e la sabbia si dispone con la vibrazione in forme regolari, tanto più complesse quanto più l’altezza del suono aumenta . Ogni sonorità genera un pattern, e le immagini in movimento si proiettano dilatate nei grandi schermi di fronte agli spettatori. Proprietà fisiche della materia, suoni e segni: sono stati contaminati i linguaggi, ma il cuore dell’opera è ancora l’unità minima della tessera, un elemento tridimensionale primo quale il grano di sabbia. La sua energia determina l’azione.
Gli Organismi appartengono invece a una categoria anfibia e sono stati creati a più riprese nel corso di questi anni. Presentati con un titolo quasi minaccioso – I.M.O.= Influenza Musiva Organismo – e un numero di catalogo, sono entità biomorfe. Nel dubbio (organiche o inorganiche, terrestri o aliene?), questi ectoplasmi potrebbero moltiplicarsi con rapidità sotto ai nostri occhi come infestanti colonie batteriche, oppure allargarsi piano piano come efflorescenze saline; sempre che non si tratti di un’invasione marina, per l’arrivo di una colonia di rare varietà di Echinodermi, corpo molle e dermascheletro calcareo. Possiedono infatti una dimensione plastica inquietante e seduttiva, per il supporto a dosso e la corazza musiva achrome a filamenti, che pare espandersi o contrarsi. L’epitelio a tessere di calcare bianco disposte in obliquo, con andamenti radiali, individua punti di tensione o di allentamento, tanto da trasformare l’oggetto in volume cinetico: naturalmente quasi, come la massa d’acqua si increspa sulla superficie e come il campo di grano si modella al soffio del vento.