CaCO3 o della persistenza dell’oggetto
di Daniele Torcellini | Critica in arte
Fin dagli esordi nel 2006, CaCO3 conduce una rigorosa ricerca che mette in scena molteplici e inedite riformulazioni delle possibilità del linguaggio del mosaico nella contemporaneità. Le opere del gruppo isolano, alterano o portano all’eccesso una gamma ristretta di caratteristiche che connotano la tecnica del mosaico, per come essa si è incarnata nelle sue forme storiche e per come i tre ne hanno assimilato le regole costitutive, le forme di degrado e le metodologie di restauro. Il rutilante sfoggio di stimoli visivi e possibilità espressive che una superficie musiva offre per sua natura – tra colori, bagliori, luci ed ombre, tessiture, aggetti, vibrazioni, decorazioni e figure – è però ridotto da CaCO3, con attitudine concettuale e minimalista, ad un alfabeto di base con cui sviluppare una grammatica tanto essenziale quanto analitica. Astrazioni geometriche o biomorfe, monocromi, cangianze Optical, neo-archeologia materiale e processuale.
Al fondo sembra celarsi un’ossessione per l’organizzazione formale e cromatica della materia – apparenza, consistenza, movimento, alterazione nel tempo – quale riflesso di procedure ripetitive di lavoro, tra casualità e controllo, tra concetto e manufatto. I materiali scelti, calcare bianco, vetri trasparenti più o meno colorati, vetri con foglia d’oro o d’oro bianco, malte, sono presentati nelle possibilità estetiche che la giustapposizione di singoli frammenti di essi, sagomati uno ad uno, determina. Il medium mosaico è reinventato in un modo che potrebbe trovare consonanze con quanto teorizzato da Rosalind Krauss per la fotografia, nel momento in cui si rende palese la sua obsolescenza. La reinvenzione riguarda l’idea di un medium in quanto tale, il mosaico nel nostro caso, “come insieme di convenzioni derivate (ma non identiche) dalle condizioni materiali di un supporto tecnico dato, convenzioni al di fuori delle quali sviluppare una forma di espressività che possa essere sia proiettiva sia mnemonica”.
Se Lev Manovitch ci invita a riflettere sul concetto di software, quale chiave interpretativa delle estetiche post-mediali – con tutte le fluidità che connotano lo sviluppo di forme frutto di aggregazioni (perfino musive, si potrebbe dire) di dati e informazioni che ogni utente può generare, interrogando il grande database del web – altrettanto la persistenza dell’oggetto, nella produzione artistica contemporanea, non può essere sottovalutata. L’oggetto è fisicamente presente nella sua materialità e sembra resistere ad ogni tentativo, più o meno avanguardistico, di messa in discussione, di digitale o concettuale dematerializzazione. L’oggetto è fisicamente presente anche come merce a cui attribuire valore, in un mercato che, sebbene in flessione, continua a macinare grandi numeri e in particolare nel settore dell’arte contemporanea.
La natura dell’oggetto nel dominio del visuale è però ambigua. La presenza in un museo sacralizza l’opera, isolandola sullo sfondo di pareti neutre, e contribuisce a sancirne il valore artistico, di contro, la collocazione al di sopra di un divano, nel soggiorno di una dimora di lusso di un collezionista, ne sottolinea il potenziale decorativo. Cosa accade quando un’opera è in un soggiorno ed entrambi sono in un museo? Questo l’interrogativo che ha dato avvio al progetto di mostra per Critica in Arte. Un’indagine sulla natura dell’oggetto tra dematerializzazione e iper-presenza, arte e arredamento, speculazione concettuale, e finanziaria, e pratica artigianale.
La mostra di CaCO3 propone un meccanismo a scatole cinesi in cui si definiscono relazioni orizzontali e verticali tra oggetti. Oggetti sono le opere di CaCO3, oggetti sono anche i pezzi di mobilia6, gli strumenti e i materiali, che accanto alle opere definiscono, in modo astratto, due ambienti di esistenza delle stesse, l’oggetto studio-di-produzione e l’oggetto soggiorno-di-una-dimora-dilusso. Questi ambienti, adiacenti e visitabili l’uno dopo l’altro nell’allestimento proposto, costituiscono l’oggetto mostra-personale-di-CaCO3, ospitata nell’ambito di una rassegna di mostre temporanee – Critica in Arte – oggetto anch’essa all’interno di un oggetto, il Museo d’Arte della Città di Ravenna. Relazioni tra oggetti dentro oggetti. Relazioni che non esauriscono, non definiscono in modo compiuto e totale la natura degli oggetti coinvolti, ne prospettano però delle possibilità parziali di esistenza, suggeriscono o impongono possibilità interpretative e di giudizio. L’ambiguità della natura dell’oggetto permane, tanto più se esso è realizzato per mezzo di una tecnica – per quanto i suoi limiti siano forzati, per quanto reinventata – dalla forte matrice manuale e storicamente determinata, ma anche concettualmente coestensiva con molte tecnologie odierne, come è il mosaico.
Anzi, come scrive Graham Harman, lucido interprete di quella scuola di pensiero che prende il nome di Object Oriented Ontology, i cani non entrano mai in contatto con la completa realtà delle ossa. In una visione spiccatamente anti-antropocentrica, le distorsioni della realtà non dipenderebbero tanto dalla coscienza umana, quanto dall’instaurarsi stesso di relazioni: “Distorciamo quando vediamo e distorciamo quando usiamo. Né possiamo considerare il peccato della caricatura un vizio squisitamente umano. I cani non entrano in contatto con la realtà piena delle ossa, e nemmeno le locuste con gli stocchi di mais, i virus con le cellule, le rocce con le finestre, o i pianeti con le lune. Non è la coscienza umana che distorce la realtà delle cose, ma la relazionalità stessa”7. Inutile quindi cimentarsi nell’impresa di raggiungere una piena conoscenza delle opere di CaCO3 come delle opere di qualsiasi altro/a artista – “L’oggetto d’arte, inteso in un senso ampio, non limitato a entità mobili e durevoli, è altrettanto resistente alla conoscenza come un oggetto nel senso filosofico”8 – meglio forse concentrarsi dunque sulle loro funzioni parziali, entro contesti determinati, e lasciar filtrare, da quell’interstizio di ambiguità, un’esperienza in ogni caso intensa.