Consistenze oltre la superficie
di Claudio Musso | Vie di dialogo 6. CaCO3 e Silvia Infranco
Si dice che la comprensione di un fenomeno emerga dalla differenza, ovvero dal confronto tra due entità, così come in fisica quantistica la possibilità di rivelare la posizione di una particella deriva dal suo rapporto con un’altra. Una relazione, un discorso o, meglio, un dialogo, come quello “combinato” tra gli artisti CaCO3(Âniko Ferreira da Silva, Giuseppe Donnaloia, Pavlos Mavromatidis) e Silvia Infranco nelle sale dell’Ala Nuova del Museo della città di Rimini. Due punti, mobili, che si incontrano per un attimo su di un unico piano “in una complessità di sistema di relazioni definibili prossemiche e aptiche al contempo” come afferma Claudia Collina, curatrice della rassegna insieme a Massimo Pulini e responsabile del progetto biennale Vie di Dialogo.
Da un lato il mosaico come tecnica e tradizione da rivisitare, dall’altro la (redi)viva pittura come campo aperto d’indagine, al di là della norma e della convenzione. Quale allora il punto di contatto tra le ricerche artistiche in campo? “Una questione non banale di superfici” risponde, ancora, Claudia Collina, un intrico di fattori che trovano, in un caso e nell’altro, una sola dimensione in cui svilupparsi. Del resto non serve nemmeno scomodare illustri pensatori per cogliere quanto oggi superficialità (intesa letteralmente come carattere della materia) e tattilismo(con ovvio riferimento al manifesto futurista) siano costantemente connessi: basti pensare a quante volte tastiamo schermi piatti con l’ausilio della digitazione per compiere le operazioni più svariate. Ampliando la riflessione potremmo affermare che la contemporaneità ha “schiacciato” e compresso l’immaginario – cosiddettosuperflat – alle cui densità è concesso accedere attraverso la pressione di aree precipue, che si aprono come cassetti di un archivio. Recuperando un celebre motto attribuito a Andy Warhol si potrebbe affermare che le opere in mostra sono “profondamente superficiali”.
Tra le sale in cui si snoda la conversazione fra le tessere di CaCO3 e le paste di Silvia Infranco, l’occhio viene attratto dagli aspetti formali e cromatici certo, ma è il tatto, seppur indotto e non palesemente utilizzato, lo strumento interpretativo più efficace. Infatti, anche quando le rugosità superficiali della Infranco prendono possesso della terza dimensione come accade in Melìa o in Idroforia non sono le linee o le sinuosità ad esser poste sotto analisi, quanto semmai le matericità. Nel primo caso l’impressione è di avere a che fare con un agglomerato o conglomerato di natura organica in fase di espansione, una sostanza le cui parti(celle) instabili cambiano continuamente la struttura. Ciò si lega in parte alla definizione etimologica a cui il titolo sembra alludere ad un possibile sviluppo “malformato” o, meglio difforme, rispetto a quello naturale. Nel secondo caso, invece, i corpi presentati appaiono come blocchi minerali i cui anfratti e le cui protuberanze accolgono e riflettono la luce generando riverberi vitali.
Un primo colloquio a distanza si instaura con le opere della serie Aggregati del trio CaCO3, nelle quali il rapporto tra le rigide sporgenze geometriche e la formazione del chiaroscuro dipendono dall’illuminazione e dalla dinamica della visione, specialmente in Aggregato n7 e n8. In n3 e n6 al vigore plastico si sostituisce una concrezione sabbiosa in cui l’elemento-tassello alla base del mosaico (discreto, distinto e modulare) viene alterato mediante l’utilizzo di polveri e miscele, passando da un tradizionale accostamento di tessere ad una inedita “tessitura”.
Con la serie dei Tracciati l’indagine di Silvia Infranco sulla materia/superficie si apparenta ai celebri cicli di Jean Dubuffet, Texturologies (1957-58) su tutti, in cui il maestro francese oltre a determinare un effettivo allargamento delle possibilità della pittura (e dell’arte tutta), creava veri e propri pattern di rilievo materico che alludevano tanto alla scrittura quanto alla rappresentazione del territorio. Attraverso la sovrapposizione di pigmenti ossidi su carta e materiali di recupero, tramite delle “velature” di cera che ottundono o dischiudono la possibilità di leggere i segni sottostanti l’artista bellunese «plasma un eterno sospeso che però cela una grande fragilità in quanto può liquefarsi semplicemente con il calore».
Tornando al gruppo di base ravennate CaCO3 vale la pena soffermarsi su altre due serie di lavori i cosiddetti Soffi e le Foliazioni.
Già dal titolo la prima di queste serie rimanda ad alcune opere di Giuseppe Penone, tra i protagonisti dell’Arte Povera, in cui l’atto dello scolpire aderiva fisicamente alla pressione del corpo sulla materia. Nelle terrecotte per esempio l’artista piemontese lasciava la sua impronta epidermica per contatto lasciando trapelare l’impronta del respiro, nei Soffi dei CaCO3 invece le lunghe tessere che compongono il mosaico si muovono come accarezzate da una brezza. Continuando l’analogia con lo scultore di Garessio è possibile citare la sua opera Soffio di foglie (1973) in cui l’orma dell’artista viene lasciata per (im)pressione diretta su un cumulo di fogliame e non è solo terminologico il legame con le Foliazioni sopracitate. In esse infatti, il solo impiego della malta lascia percepire una mancanza, come se l’opera fosse bloccata in una fase preliminare o, ancora, le fosse lasciata, intatta, quell’energia potenziale allo sviluppo del mosaico vero e proprio. Le tracce allora, i segni presenti sulla superficie, ancora una volta protagonista, sarebbero le impronte di quei Movimenti che prendono forma nelle opere a cui danno il nome. È neiMovimenti che gli elementi fin qui elencati trovano compimento, in queste opere la monocromia dei materiali concentra l’attenzione sui passaggi chiaroscurali garantiti dalle inclinazioni corali delle tessere e l’effetto di mutevolezza (vera o presunta) gioca con la percezione visiva. Luce, materia e percezione dunque alla base dell’ampia selezione di opere presentate in mostra, elementi tra i più classici dell’estetica il cui attuale accostamento lascia intravedere prospettive originali e le cui infinite possibilità di relazione dischiudono direzioni insondate.